Le politiche della Federal Reserve minacciano i mercati finanziari e l'economia degli Stati Uniti. Rischiano di provocare una forte recessione e il rischio di ripetere il lunedì nero del 1987.........


 

Le politiche della Federal Reserve minacciano i mercati finanziari e l'economia degli Stati Uniti. Rischiano di provocare una forte recessione e il rischio di ripetere il lunedì nero del 1987.

All'inizio della pandemia, il volume dei dollari americani in circolazione è salito alle stelle. Per due anni, a partire da marzo 2020, la massa monetaria M2 (che misura i contanti e i depositi in conto corrente più i depositi a risparmio e altri beni facilmente convertibili) è cresciuta a un tasso annuo senza precedenti del 16,5%. Si tratta di un tasso più che triplo rispetto a quello necessario per raggiungere l'obiettivo di inflazione del 2% fissato dalla Fed.

Poi, nel marzo 2022, la Fed ha cambiato rotta, prima stringendo l'offerta di moneta aumentando il tasso sui Fed-funds (fondi di riserva che le banche sono obbligate a depositare presso la Fed, ndt) e poi introducendo la stretta quantitativa. Tra luglio 2022 e agosto 2023, l'offerta di M2 si è contratta del 3,9%, la contrazione più estrema dal 1933.

Il primo fattore che contribuisce alla contrazione della massa monetaria è la politica restrittiva della Fed. Nel giugno 2022, ha iniziato a ridurre il proprio bilancio di 45 miliardi di dollari al mese. Nel settembre 2022 ha raddoppiato la riduzione mensile a 90 miliardi di dollari. Questa riduzione del bilancio da parte della Fed richiede che il pubblico acquisti una quantità equivalente di titoli, riducendo i propri depositi a fronte dell’acquisto.

Il crollo del mercato obbligazionario

La stretta quantitativa ha già prodotto un drammatico crollo del mercato obbligazionario. Ma proprio come hanno fatto prima della crisi del settembre 2019 nel mercato delle operazioni di pronti contro termine, i funzionari della Fed continuano a ripetere il loro mantra sbagliato secondo cui la stretta quantitativa può operare "sullo sfondo" e "con il pilota automatico", implicando un effetto minimo sul mercato. Ma le basi di contabilità dei bilanci mostrano che, a meno che le banche commerciali non creino abbastanza "nuova moneta" attraverso la loro attività di prestito per compensare la contrazione dei bilanci della Fed, la stretta quantitativa ha un effetto di contrazione sulla massa monetaria.

Il secondo fattore che contribuisce alla contrazione di M2 è la minore disponibilità di credito delle banche commerciali, ovvero la somma di prestiti e titoli detenuti dalle banche.

Con il forte aumento dei tassi, i prestiti bancari sono rallentati e le banche hanno venduto titoli. Nel settembre 2022, le banche commerciali statunitensi detenevano 17.360 miliardi di dollari, ma nel settembre di quest'anno il totale era sceso a 17.280 miliardi dollari. All'interno di questo totale, i titoli detenuti dalle banche sono scesi di quasi 600 miliardi di dollari nello stesso periodo.

Questo fenomeno ci ricorda il crollo del mercato azionario del 1987. In quell'anno il rendimento dei titoli decennali di riferimento salì vertiginosamente da gennaio in poi (dal 7% di gennaio al 10% del lunedì nero di ottobre) e l'offerta di moneta subì un brusco rallentamento.

Nel 1987 la crescita di M2 quasi dimezzò, passando dal 9,7% su base annua in gennaio al 4,9% in settembre, mentre la M3 – misura non più pubblicata dalla Fed - rallentò dall'8,7% al 3,6% nello stesso periodo. La crisi del mercato obbligazionario e la stretta monetaria portarono a un improvviso e drastico abbassamento delle valutazioni dei mercati azionari. Lo stesso potrebbe accadere oggi, soprattutto perché l'attuale balzo dei rendimenti obbligazionari e la stretta monetaria sono molto più pronunciati rispetto al 1987.

Economia in serio pericolo

A causa del calo sostenuto dell'offerta di moneta, l'economia è in serio pericolo. Finora, solo il denaro in eccesso che la Fed ha creato tra il 2020 e il 2021, derivante dalle elargizioni Covid, ha consentito alle imprese di assumere e ai consumatori di spendere. Gli effetti dell'eccesso di denaro stanno ancora dando una spinta all'economia, ma il carburante extra è quasi esaurito. Quando si esaurirà, l'economia andrà avanti a singhiozzo.

In tutto questo, è fondamentale apprezzare gli sfasamenti temporali. La Fed ha ignorato l'enorme accelerazione della quantità di denaro e non ha quindi anticipato l'inflazione che ne sarebbe derivata. Quando l'inflazione ha colpito, all'inizio del 2021, i funzionari della Fed hanno cercato di sostenere che fosse transitoria, causata da interruzioni delle catene di approvvigionamento industriale.

La Fed continua a ignorare la massa monetaria e ora ci troviamo di fronte al problema opposto. L'offerta di moneta si è contratta per 18 mesi e presto, dopo l'esaurimento del denaro extra del 2020-21, la spesa crollerà e l'inflazione scenderà non solo al 2%, ma al di sotto, forse anche in deflazione nel 2025.

Poiché i funzionari della Fed non prestano attenzione né agli aggregati monetari né alle loro controparti creditizie, stanno trascurando questi segnali e i rischi si intensificano di giorno in giorno. I dirigenti della Fed parlano invece di "dipendenza dai dati", tenendo gli occhi puntati su indicatori economici ritardati, come il mercato del lavoro e la composizione dell'indice dei prezzi al consumo, e non sulle cause monetarie del loro movimento.

L'analisi monetaria racconta una storia molto diversa rispetto alle misure seguite dalla Fed. Il primo effetto di una contrazione monetaria è un aumento dei tassi di interesse di mercato per un breve periodo. Poi arriva il crollo economico. L'economia entra in recessione e l'inflazione scende. Questo si traduce in un secondo e più permanente effetto di una crescita monetaria insufficiente, ovvero tassi di interesse più bassi e una valuta più debole.

Quando il mercato azionario crollerà, il concetto del livello dei tassi "più alto per più tempo" diventerà un ricordo del passato, poiché la Fed farà un brusco cambio di rotta. A quel punto i rendimenti decennali e il dollaro crolleranno.


di John Greenwood e Steve H. Hanke per "milanofinanza.it"

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